giovedì 20 settembre 2012

Serendipità - di Pier Giorgio Micelli

È detto serendipità il fenomeno dell’ imbattersi in qualcosa che non si stava necessariamente cercando e che pure si rivela illuminante nella comprensione di qualcosa che risulta utile. Può sembrare un errore, talvolta, una coincidenza o un caso: si scopre che non lo è affatto. Può essere un libro fuori posto nella libreria di un amico, un titolo ammiccante sugli scaffali che certe biblioteche riservano allo scambio tra gli utenti; ma anche una frase colta da un film che parli di tutt’altro o le parole di un interlocutore occasionale, cui sul momento non si attribuisca l’importanza che in seguito rivela: in ogni caso si scorge una traccia luminosa che non si può fare a meno di seguire.
La cosa che “non” sto cercando in questo momento mio personale, imprescindibile per forza di cose da quello storico che coinvolge tutti, riguarda la soluzione ad un quesito che mi accompagna da un po’, quello relativo alla contraddizione tra la bellezza di certe grandi idee e la difficoltà, per non dire il fallimento, riscontrabile nell’innesto delle stesse sul piano sociale. Ogni rivoluzione è portatrice di rinnovamento, di un baluginio che fa intravvedere la possibilità di un miglioramento della condizione umana, con un beneficio universale. Ogni generazione ha un suo sogno abbagliante. Ma, con il tempo, la prospettiva si restringe, il beneficio è circoscritto a favore di qualcuno e il prezzo da pagare addebitato a qualcun altro. Dopo il calore dell’entusiasmo, la freddezza della delusione. Dopo le primavere dai colori più svariati, l’implacabilità dell’autunno. Così almeno sembra.
Premesso che le ideologie, per fortuna, non forniscono più alcuna risposta soddisfacente, per chi non sia beneficiato del dono della fede in verità rivelate, non resta che affidarsi in tutta serendipità ai segnali che vengono incontro nei modi sopra descritti. Lo stesso concetto di coscienza individuale, cui appellarsi per ricomporre la frattura tra ideale e reale, risulta inefficace, alla fin dei conti, riguardando nient’altro che un insieme di regole non scritte e comportamenti adottati per sentirsi accettati nella società e nel tempo cui si appartiene. Sgomberato il campo dalle interpretazioni a priori, la forma del frattale può risultare dapprima decisamente vaga, ma qualcosa si può intravvedere, socchiudendo appena gli occhi come davanti a certe opere d’arte contemporanea, per liberare la percezione dagli schemi dettati dalla consuetudine. Fino a comprendere che non c’è nulla di sbagliato nella realtà: quel che appare come contraddizione corrisponde ad un ordine non ancora integrato o compreso. E i luoghi dove la ricomposizione del disegno avviene non possono più essere le barricate in piazza (“le fai per colpa della borghesia, che crea falsi miti di progresso” cantava F. Battiato già 30 anni fa); non sono più praticabili le rivoluzioni dei pugni chiusi, né quelle dalle mani tese, perché la logica del muro contro muro genera altro conflitto. L’unico cambiamento, l’unica rivoluzione senza vincitori, né vinti, avviene dentro se stessi: li è insediato l’unico tiranno che valga la pena di spodestare. Con sconsiderato amore.