martedì 29 maggio 2012

Ideologie non più adatte - di Pier Giorgio Micelli

Raccontava mia madre, nata nel 1925 in Trentino, che nella sua infanzia l’eroe Cesare Battisti era definito un traditore. Ne deduco che se la guerra ’15-’18 fosse finita diversamente, ipotesi non troppo remota, i libri di storia sarebbero forse allineati con quella definizione. Qualche anno più tardi, dopo l’8 settembre ’43, i tedeschi, nei loro comunicati, chiamavano banditi i partigiani italiani. Di nuovo: se la guerra fosse finita diversamente, ipotesi questa volta più lontana, staremmo a parlare di un’altra storia.
Ho seguito con interesse il dibattito che ha animato recentemente anche questa rubrica sui temi della resistenza, della lotta partigiana, dell’eccidio di Porzius, intavolato a distanza tra testimoni, reduci, protagonisti, studiosi o gente comune. Appartengo di gran lunga a quest’ ultima categoria; all’epoca non ero nemmeno nelle intenzioni dei miei genitori e sono cresciuto con un’idea retorica di quel periodo, frutto dell’ambiente culturale in cui mi sono formato (che non mi vergogno a definire più catto che comunista). Alla luce di una maggiore documentazione, l’opinione che mi sono fatto della resistenza, se si può moralmente parlare di vittoria dopo una guerra, è che tutti ne siano usciti vincitori. A partire dalle due fazioni partigiane: i partiti politici che dalla clandestinità ne ispiravano l’azione hanno occupato l’ex stato fascista dopo esserselo spartito più o meno equamente. Ma anche i repubblichini di Salò hanno trovato posto nel nuovo ordine sociale e lo stesso duce, agli occhi degli strateghi alleati di parte occidentale poteva tornare utile per gli equilibri dell’Europa che si andava delineando: essendo l’Italia ai confini con il blocco filo- sovietico, era gradita dai coreografi politici anglo-americani una continuità con il vecchio regime, magari dopo un bel discorso di scuse alla radio. L’ipotesi non è piaciuta ed è stata resa impraticabile nei modi che si sanno.
Ponendomi oggi fuori da quelle logiche, al riparo del tempo trascorso, mi sento di dire che tutte le ideologie che animavano le coscienze di quei tempi non sono più adatte a leggere la mutata società di oggi. Se la caduta del muro di Berlino ha sancito la fine del comunismo per bancarotta, la civiltà dei consumi e dell’edonismo (per citare Pasolini, la cui assenza è un grido) ha portato ad ancora più profonde diseguaglianze tra le popolazioni del pianeta, ammalate di miseria al sud e abbondanza al nord; né godono di miglior salute le chiese storiche –islamiche, ebraiche o cristiane che siano- che a me paiono bellissimi contenitori di una sostanza sempre più inconsistente e lontana dall’insegnamento dei maestri che le hanno fondate. Sullo sfondo questo mondo mutato, multirazziale e globalizzato, dove il campo di battaglia è il pianeta intero e la posta in palio la sopravvivenza stessa della razza umana in una condizione di pacifica convivenza nella diversità di culture, sentire religioso, stile di vita, usi e costumi. E questo non può prescindere da un’equa spartizione delle risorse, perché è immorale che una ristretta elite di umanità (la nostra, per inciso) fruisca della maggior parte dei beni disponibili, mentre una grossa fetta della popolazione non abbia di che sfamarsi. E questo è noto fin nelle steppe dell’Asia centrale dove qualcuno ha una tv satellitare e l’immagine dell’occidente che ne ricava, vera o falsa che sia, è appetitosa: ecco quindi questo colonialismo al contrario cui stiamo assistendo da un po’, dove coloni e indigeni si sono scambiati i ruoli in una sorta di balletto planetario. Basterà l’abbaiare xenofobo contro chi si avvicina al cortile a fermare tutto questo? Ho qualche dubbio, ma sono certo che la Terra abbia di che sfamare tutti i suoi inquilini, qualora questi lo vogliano.
L’umanità ha già dimostrato la sua abilità nell’arte della guerra: una macchina perfetta per creare posti di lavoro nei momenti di crisi; ridurre il numero degli umani quando ce ne son troppi, dicevano i futuristi i primi anni del secolo scorso; anche una valvola di sfogo per le tensioni sociali e la naturale aggressività dell’uomo…ma nell’autunno di quest’epoca, non vi pare ci si possa aspettare una primavera differente? Non vi pare il momento di scrivere un’altra storia sulle invisibili pagine di questo mondo, ancora capace di creare la bellezza di un fiore, la sorpresa di una stella o la vastità di un tramonto? È la storia di una nuova resistenza mondiale, che tutti siamo chiamati a combattere, dove il nemico non è più fuori da noi stessi, di un’altra nazione, ideologia, razza, ma dentro, perché il principale avversario dell’uomo oggi è l’uomo stesso. E se dentro ognuno di noi si trova il problema, dove credete sia la soluzione?

(Lettera al direttore inviata al Messaggero Veneto il 18 agosto 2009)


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